domenica 11 maggio 2008

LA GROTTA DORIA

(testo e immagini tratte da pagina web del sito: naturaeartificio.com)

Le "grotte artificiali", non opera della natura ma dell'artificio dell'uomo sono un portato della cultura architettonica tardorinascimentale; al loro interno la presenza di sorgenti ha spesso indotto gli artisti che vi hanno posto mano a realizzarvi "giochi idraulici" o fantastiche composizioni formali che hanno avuto grande fortuna.

Un precedente di queste "delizie", può essere individuato nelle grotte artificiali da giardino che nel corso della metà del XVI secolo integrano i complessi architettonici della città di Genova.
Il Vasari cita la "fonte del Capitan Lercaro" di Galeazzo Alessi, ovvero la GROTTA DORIA, importante esempio nella tecnica adottata nella realizzazione di fonti artificiali di giardino e archetipo per i successivi sviluppi del fenomeno grotte a Genova.
Si tratta di quella oggi conosciuta come fonte Doria in origine proprietà della famiglia Doria Galleani ed acquistata nel 1603 da Giovanni Andrea I Doria, per essere compresa nel grandioso disegno del giardino di Fassolo.
E' probabile che si riferisca alla grotta in oggetto un passo di un viaggiatore spagnolo che, probabilmente tra il 1548 e il 1549, sotto lo pseudonimo di Pedro de Urdemalas narra di aver ammirato a Genova "una fonte....la mas delicada cosa que imaginarse puede", ornata "con tanti marmi, coralli, madreperle, medaglie ed altre figure": questa fonte viene ad essere un'importante riferimento ante quem per la datazione del manufatto.
La grotta insisteva nel XVI secolo su uno dei piani dei giardini terrazzati che scandivano la collina dietro palazzo del principe al di fuori delle mura genovesi, in prossimità della Porta di San Tommaso; oggi è compresa in un area della città fittamente edificata, inglobata in un caseggiato moderno, ormai accessibile solo attraverso un terrazzo privato.
La costruzione della linea ferroviaria e la totale distruzione del giardino a monte di palazzo Doria nella seconda metà dell'ottocento avevano condotto ad una perdita di memoria dell'esistenza del manufatto tanto che alla fine degli anni sessanta del secolo scorso veniva considerato distrutto questo fino alla riscoperta negli anni ottanta ad opera di Magnani.
L'ambiente principale era in origine preceduto da un atrio bi-absidato, oggi distrutto, dal quale si accedeva da una sala ottagona, ancora ben leggibile, sormontata da una volta a cupola divisa in otto spicchi, illuminata all'apice dalle finestre di una lanterna, al cui posto è oggi una schermatura in cemento.
Il perimetro della sala è segnato da arcate a tutto sesto: al loro interno sono divinità fluviali e paesaggi all'antica in mosaici polimaterici, alternati da nicchie incrostate da conchiglie che hanno davanti vasche con delfini.
Tra le arcate sono otto grandi erme con il busto coperto con una lorica e un canestro di frutta sul capo; sulla parete di fronte all'ingresso è una cavità rustica di maggiore profondità ornata di stalattiti. Decorazioni figure sono realizzate accorpando tessere di maiolica, ciottoli colorati, cristalli, conchiglie, frammenti corallini; l'intero sistema dei simboli della decorazione rimanda al regno delle acque: le personificazioni di fiumi, i materiali dei mosaici, le maggior parte di scene di matrice ovidiana rappresentate sulla volta: da sinistra Polifemo sullo scoglio, Galatea sulla conchiglia trainata da delfini, il rapimento di Europa, Nettuno sul cocchio; sull'altro lato Perseo uccide il mostro marino che minaccia Andromeda, Peleo e Teti, il rapimento di Deianira.
Un'ultima scena poco leggibile rappresenta una figura a cavallo di un delfino.







1 commento:

maria ha detto...

Molto interessante! Mi piace scoprire ogni volta qualcosa di nuovo su Genova e sarei curiosa di andare a conoscere queste due grotte... sai se è possibile e come? Maria-mafalda